Continua l’impoverimento degli Atenei Italiani. Bisogna invertire la rotta.
Il MIUR con il Decreto Ministeriale 619 del del 5 agosto 2016 ha comunicato alle Università i Punti Organico disponibili per il 2016. Registriamo come sempre i soliti effetti anomali, squilibrati e penalizzanti sul sistema universitario.
Le normative di riferimento per l’assegnazione dei Punti Organico sono la Legge 240/10 e il successivo decreto legislativo 49/12
nonché quanto previsto dal DPCM del 31 dicembre 2014 (Disposizioni per
il rispetto dei limiti delle spese di personale e delle spese di
indebitamento da parte delle università, per il triennio 2015‐2017) e
dalle altre disposizioni di legge sul turnover.
Per effetto di detti provvedimenti su un totale di 1.989,45 punti organico che si sono liberati nel 2015 per cessazioni di personale universitario (docente e tecnico-amministrativo), ne vengono complessivamente riassegnati alle università solo 1.193,67 pari al 60% delle cessazioni.
Giova ricordare che il contestato meccanismo dei punti organico prevede questa corrispondenza di valori:
professore ordinario | 1 punto |
professore associato | 0,70 |
ricercatore (anche T.D.) | 0,50 |
T.A.B. categoria B | 0,20 |
T.A.B. categoria C | 0,25 |
T.A.B. categoria D | 0,30 |
T.A.B. categoria EP | 0,40 |
Dirigenti | 0,65 |
CEL | 0,20 |
Nella distribuzione dei punti organico per il 2016 quattro Atenei (Reggio Calabria, Seconda Univ. Di Napoli, Cassino e Siena)
superano i limiti del 80% di spesa per il personale ovvero sono sotto
all’unità per quanto riguarda l’indicatore di sostenibilità
economico-finanziaria (ISEF) ed hanno quindi un turnover limitato al 30%
della spesa annua relativa al personale cessato nel 2015.
Permane
ancora nel 2016 il vincolo, previsto dalle ultime leggi di stabilità,
di destinare una percentuale di punti organico per la partecipazione
delle Università alle procedure di ricollocazione del personale delle città metropolitane e delle province.
Si tratta in particolare di complessivi 37,80 punti organico relativi a
cessazioni del personale TAB che non possono quindi essere utilizzati
ma accantonati appunto per far fronte all’eventuale ricollocazione del
personale delle province.
Sarà pure un algoritmo a governare il processo, ma questo porta inevitabilmente verso il ridimensionamento se non la chiusura di alcuni Atenei, per lo più collocati al Sud, ma non solo.
Se gli Atenei siciliani,
ad esempio, perdono in due anni complessivamente 388,55 punti organico e
ne ricevono 147,77 (di cui 12,39 accantonati per le province); se gli Atenei sardi
ne perdono 134,65 e ne ricevono 57,93 (di cui 5,03 accantonati per le
province) questo avrà o no impatto sull’offerta formativa,
sull’attrattività di questi atenei, sulla loro capacità di competere
(parola che piace tanto ai nostri governanti)?
Ci sono invece
Atenei che, anno dopo anno, vedono la possibilità di incrementare il
proprio organico ben oltre il 100% delle cessazioni (ad esempio la
Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, la Stranieri di Siena, la SISSA di
Trieste, Catanzaro, Milano Bicocca e il Politecnico di Milano).
Stiamo,
o meglio stanno nei fatti decidendo una nuova geografia dell’istruzione
universitaria proseguendo pervicacemente in quella che è stata la linea
della cosiddetta riforma Gelmini. Meno Atenei, meno
corsi, meno personale, meno risorse pubbliche, un sistema a due velocità
con Atenei di eccellenza e Atenei licealizzati e un’istruzione
superiore che diventa sempre più un miraggio per le classi meno
abbienti.
Noi crediamo che si debba invertire rotta,
che si debba uscire dall’emergenza e tornare ad investire su università
e ricerca per dare una opportunità vera a questo Paese di uscire dalla crisi che lo attanaglia.
Basta con i punti organico che vanno solo aboliti, turn-over al 100%, piano straordinario di assunzioni e un FFO che torni almeno ad essere quello che era prima del taglio di quasi un miliardo di euro!