La legge 150 del 2009, così detta legge Brunetta,
rappresenta il più alto punto di attacco ai diritti, ai salari e alla
dignità del lavoro pubblico, concepito dalle politiche di austerity
degli ultimi anni. Un attacco feroce che la CGIL ha combattuto senza
risparmiarsi e per un lungo periodo in assoluta solitudine. La trattativa aperta all’Aran per la riduzione dei comparti dagli 11 attuali fino ad un massimo di 4 si muove esattamente in questo ambito cioè l’applicazione di uno dei provvedimenti contenuti in quella legge.
Le ragioni che impediscono, allo stato attuale, la creazione di un comparto di Ricerca, Università e Afam sono evidenti.
La rigidità del vincolo normativo e lo scarso peso numerico di questi
settori, rispetto agli altri settori del pubblico impiego, non ha mai
reso la proposta concretamente sostenibile al tavolo di trattativa a
legge 150 invariata. D’altro canto a nessuno sfugge che la trattativa
con l’Aran per la riduzione dei comparti di contrattazione non è il
luogo dal quale riuscire ad ottenere modifiche della legge Brunetta.
Certamente
nella ridefinizione obbligata dei comparti la struttura contrattuale e
le professionalità della Ricerca così come l’Afam e l’Università
rischiano di subire, più di altri settori, gli effetti negativi della
rigidità che caratterizza una scelta evidentemente forzata. Con un
governo che non è in grado valorizzare l’importanza dello sviluppo
scientifico, della cultura artistica e musicale e dell’istruzione
universitaria, al di là del mero peso numerico degli addetti impiegati,
bisogna stabilire nei contratti nazionali regole che consentono la piena
esigibilità della contrattazione e scelte d'investimento strategiche.
La
CGIL ha avviato la propria partecipazione alla trattativa consapevole
che questa rappresentava una delle maggiori criticità da affrontare.
In
particolare ciò che deve essere scongiurato è il rischio di sciogliere
le specificità professionali di questi settori nell’oceano della
pubblica amministrazione. Del resto la grave vicenda delle tabelle di
equiparazione tra comparti e dell’Agid, l’agenzia per l’agenda digitale,
avevano già dato negli ultimi mesi una misura concreta dei rischi che
si corrono muovendosi in questa direzione.
Riteniamo, quindi, preoccupante che da una certa parte sindacale sia stato suggerito, nell’ultimo incontro di trattativa all’Aran, di far confluire la Ricerca in particolare nelle amministrazioni centrali dello Stato,
sostenendo la tesi che quello è il comparto di provenienza nel quale
gli Enti di ricerca erano incardinati prima del 1991. Vogliamo esprimere
con chiarezza l’idea che questa prospettiva rappresenterebbe un enorme
passo indietro per i lavoratori della ricerca che ricordano bene la
faticosa battaglia di emancipazione sostenuta per conquistare il
riconoscimento della propria specificità ottenuto con la costituzione
del comparto della Ricerca.
Per queste ragioni il fatto che
l’Aran, dopo aver avanzato l’ipotesi di un unico comparto di
contrattazione nel primo incontro, poi tre comparti nell’incontro
successivo abbia da ultimo proposto quattro comparti di cui uno della conoscenza,
ci sembra, allo stato attuale della trattativa una proposta positiva,
che peraltro consentirebbe di chiudere rapidamente il negoziato per poi
aprire i tavoli contrattuali.
Come è noto infatti
l'apertura del confronto sul rinnovo del contratto nazionale nei
comparti pubblici puo' avvenire solo dopo aver raggiunto l'intesa sui
comparti e la definizione del calcolo della rappresentanza.
In
queste condizioni di partenza comporre un comparto che contenga al suo
interno contratti con una elevata difformità nell’architettura
ordinamentale e professionalità non omogenee, sia dal punto di vista
delle mansioni che da quello dei salari, può dal nostro punto di vista
rappresentare una via plausibile per raggiungere l’obiettivo di
salvaguardare tutte le specificità oggettive e le diverse “storie” dei
settori attraverso una articolazione equilibrata tra comparto e
specifiche sezioni. In questo senso di fronte al dato dei 4 comparti, come già avevamo anticipato,
il comparto della conoscenza può rappresentare il riconoscimento di una
filiera in cui far convivere interazioni strategiche di sistema e
specificità contrattuali.
Potrà, in altri termini, certamente
avere la forza di alcune solide connessioni trasversali valide per
tutti, cioè il riferimento agli articoli 9, 33, 117 della Costituzione.
In queste norme e nei principi che le ispirano trovano fondamento
l'autonomia di ricerca e di insegnamento che caratterizzano il lavoro in
queste istituzioni e ne definiscono l'architrave. D’altro canto,
all’interno di queste linee comuni, di comparto, i settori non potranno
che corrispondere alle articolazioni specifiche che oggi si riferiscono
alle prerogative contrattuali di scuola, università, ricerca e afam.
Il
fatto che questa soluzione sia articolata unendo in un unico ambito
tutte le istituzioni della conoscenza riteniamo sia un elemento di
rilevante valore in grado di aumentare il peso politico di settori che
nonostante assolvano una funzione sociale fondamentale per il futuro del
paese, oggi attraversano una profonda crisi a causa delle sciagurate
politiche del governo. Ricomporre la filiera dei saperi
contribuisce a rivendicare la stretta connessione tra investimento nelle
istituzioni della conoscenza e investimenti per lo sviluppo.
Può cioè rappresentare una forma di concretizzazione degli articoli 9,
33 e 117 della Costituzione a partire dai quali le peculiarità di ogni
ambito del lavoro nei diversi settori della conoscenza devono essere
valorizzati e non certo appiattiti insensatamente l’uno sull’altro.
Comprendiamo
le preoccupazioni e la fibrillazione di alcune organizzazioni sindacali
per l’esito di questo negoziato, specie da parte di chi rischia di non
raggiungere più i limiti per la rappresentatività. Riteniamo però che
occultare realtà e verità delle proposte in campo e della discussione
difficilmente contribuisce a far avanzare la trattativa rischiando
piuttosto di produrre l’effetto opposto a quello che da alcune parti di
dichiara: mortificare le professionalità di questi settori piuttosto che
salvaguardarle e valorizzarle. Fonte Flc CGIL